17/04/2024
Articoli di Dans International
Uno studio sui fraintendimenti e i travisamenti del femminismo.
Scritto da : Elena RUGGIERI
Nell’ambito dell’espansione internazionale del Cercle de Stratégies et d’Influences, vi invitiamo a guardare le principali questioni contemporanee da una prospettiva diversa, con un punto di vista decentrato.

Introduzione :
È paradossale, se ci pensate, che in un mondo in cui per essere socialmente stimati bisogna seguire le regole del “politicamente corretto”, il femminismo sia sempre più concepito come un concetto negativo, estremista, discriminatorio e antagonista sia dalle donne che dagli uomini. Siamo arrivati al punto che molte persone – e sottolineo ancora una volta che non parlo solo di uomini ma anche di donne – non sono più propense ad ascoltare discorsi sui diritti delle donne o sull’uguaglianza di genere perché li associano istintivamente a donne che odiano gli uomini e che si fanno giustizia da sole, sostenendo l’idea di superiorità piuttosto che di uguaglianza.
Questo accade soprattutto tra le nuove generazioni, a mio avviso, per due motivi principali:
1. In primo luogo, non hanno ben chiaro in mente per cosa si batte il femminismo, né conoscono la storia di questo grande movimento che si è dispiegato in una miriade di idee, credenze e rivendicazioni diverse nel corso della sua evoluzione e, in parte, percepiscono tutte le questioni legate alla discriminazione di genere come lontane, non così urgenti e come qualcosa di passato.
2. In secondo luogo, soprattutto negli ultimi anni, hanno ricevuto ripetutamente lezioni su questi temi in tanti modi diversi e dalle fonti più disparate – workshop organizzati da scuole e università, annunci sui social media, pubblicità di marchi, sessioni di formazione organizzate da aziende – al punto che rifiutano automaticamente il discorso senza nemmeno ascoltarlo perché sono “esausti” di parlarne.
Un ulteriore problema che si aggiunge al sostegno al femminismo è che più passa il tempo, più si ampliano le concezioni, le definizioni, gli approcci e le ideologie ad esso associate, tanto che oggi ci troviamo in un momento in cui nessuno è davvero in grado di definire in maniera condivisibile cosa sia il femminismo. Di conseguenza, ognuno di noi, soprattutto in base alla propria esperienza, costruisce nella propria mente la propria idea di femminismo, creando molte contraddizioni e fraintendimenti che rendono solo più facile sostenere le cause anti-femministe. Per questo motivo, ritengo sia importante ripercorrere brevemente la storia del femminismo per capire da quali rivendicazioni nasce e come e perché le sue ideologie si sono evolute nel tempo, per cercare di avere un’idea più chiara del suo significato.
Il femminismo e la sua evoluzione storica:
Prima di entrare nel merito della storiografia del femminismo, vorrei sottolineare il fatto che qui stiamo parlando della storia del femminismo occidentale; spostandoci in Africa o in Asia, l’evoluzione del femminismo sarebbe probabilmente descritta in modo diverso. Il movimento femminista è stato comunemente spiegato come diviso in diverse ondate, ognuna delle quali riflette un diverso insieme di rivendicazioni. In realtà, dovrebbe essere inteso come formato da molti sotto-movimenti che si costruiscono l’uno sull’altro, un intreccio di valori, idee e persone spesso in contrasto tra loro, ma per semplificare la comprensione la metafora delle onde è sicuramente lo strumento migliore.
La prima ondata di femminismo risale al XIX secolo e mirava principalmente a far capire alla società che le donne sono esseri umani, non proprietà. La principale rivendicazione di questa generazione femminista era il diritto di voto, ma anche la promozione dell’uguaglianza nel matrimonio, nella genitorialità e nei diritti di proprietà per le donne. In questa fase, il femminismo era altamente politico, soprattutto perché in quel periodo le donne avevano così pochi diritti civili che concentrarono la loro battaglia sull’abbattimento del “primo muro” e sull’ottenimento dei diritti umani fondamentali per i quali stavano combattendo. In questo caso c’era molta meno confusione associata alle loro rivendicazioni; tutti, se avessero chiesto “Cos’è il femminismo?“, avrebbero dato definizioni simili. Anche se i Paesi variavano molto nell’organizzazione del movimento, tutti miravano allo stesso obiettivo di uguaglianza.
Negli anni Sessanta è arrivata la seconda ondata del femminismo, che ha allargato il dibattito a un insieme più ampio di questioni come la sessualità, il posto di lavoro, i diritti riproduttivi, la violenza domestica, le questioni legate allo stupro e le disuguaglianze legali. In questo modo, si è perso un po’ il motivo politico per dare spazio anche alla richiesta di uguaglianza al di là della legge nella vita reale delle donne – è importante pensare al contesto storico in cui ci troviamo, dove le donne erano ancora limitate in ogni aspetto, dalla vita familiare al posto di lavoro. Con l’ampliarsi dei temi legati alla causa femminista, la definizione di quest’ultima ha iniziato a sfumare e sono emersi tre tipi principali di femminismo: liberale – incentrato sulle riforme istituzionali, mirava a ridurre le discriminazioni di genere, l’accesso agli spazi dominati dagli uomini e la promozione generale dell’uguaglianza – radicale – voleva una riforma completa della società allontanandosi dagli assiomi patriarcali, resistendo alla convinzione che le donne siano uguali agli uomini – e culturale – sostenendo l’idea di una “essenza femminile” che rende le donne diverse dagli uomini.
La terza ondata si è invece verificata negli anni ’90 quando, grazie alle vittorie delle femministe della prima e della seconda ondata, le donne hanno iniziato a godere di maggiori diritti. Forte di ciò, la rivendicazione principale tra tutte le diverse idee e i mini-movimenti esistenti divenne quella della libertà: le donne avevano il diritto di decidere come vivere, come vestirsi, dove lavorare e come comportarsi indipendentemente dagli stereotipi e dai modelli femminili imposti dalla società patriarcale. Tuttavia, la definizione di femminismo a questo punto iniziò a comprendere così tanti temi e cause diverse che nessuno fu più in grado di affermare per cosa esattamente il femminismo si battesse.
Oggi stiamo vivendo la quarta ondata del femminismo, che va concepita più come una crescita continua del movimento che come un vero e proprio cambiamento, in cui stanno emergendo ancora più idee e movimenti – la parola “intersezionalità” è stata coniata per identificare la natura interconnessa di categorizzazioni sociali come razza, classe e genere, dato che nel discorso femminista i diritti dei trans e delle donne nere hanno iniziato a conquistare più spazio – e si scontrano tra loro al punto che più il femminismo si sviluppa, più diventa difficile dargli un significato comune.
Alcuni fraintendimenti sul femminismo:
Non si tratta di dire che il femminismo debba essere meno inclusivo e dare spazio a meno voci, anzi è una grande conquista il fatto che si levino tante voci diverse che rendono il movimento stesso più inclusivo e di successo, ma a scapito della sua comprensione.
Negli ultimi anni, anche grazie all’uso sempre più frequente dei social media come piattaforma dove chiunque può esprimersi liberamente, sono stati condivisi molti post e commenti antifemministi che mostrano chiaramente come le persone, quando parlano di femminismo, parlino delle cose più disparate. Monica Pham, ingegnere nucleare attiva sul tema dell’empowerment femminile, ha condotto un’analisi basata sui commenti postati sul sito Tumblr chiamato “Donne contro il femminismo” e, tra le diverse ragioni di opposizione al femminismo che emergono da questi commenti, tre mi hanno interessato soprattutto per il modo in cui sono facilmente identificabili nella nostra società: la rivendicazione dell'”uguaglianza per tutti“, il modello della “donna forte” e la donna “femminista che odia gli uomini“.
La prima serie di commenti può essere riassunta con l’affermazione: “l’uguaglianza non equivale alla superiorità“, e comprende tutte quelle donne che non si considerano femministe – e anzi lo rifiutano – perché lo definiscono un movimento che cerca di porre la donna al di sopra dell’uomo. Il motivo principale è che considerano il femminismo come una richiesta di protezione dei diritti delle donne, mentre ritengono che dovrebbe difendere i diritti di tutte le persone, indipendentemente dal loro sesso. Quindi, il problema principale per loro è che non percepiscono più il femminismo come una richiesta di uguaglianza e sono strettamente legati alla convinzione post-femminista che abbiamo già raggiunto un punto di uguaglianza tra i sessi tale da rendere il femminismo stesso non più necessario nella nostra società. È facile capire, quindi, che una persona che pensa che il femminismo sia l’opposto di una rivendicazione di uguaglianza e che l’uguaglianza sia già stata raggiunta, percepisca la causa femminista come inutile, vecchia ed estremista nel suo perpetuarsi.
La seconda corrente di pensiero ruota attorno all’idea che il femminismo guardi dall’alto in basso i ruoli femminili tradizionali, come quello di madre e moglie. “Essere una moglie casalinga è una mia scelta!“; “Non mi farò intimidire per aver scelto i valori tradizionali” sono solo due delle frasi pubblicate sul sito. Queste donne percepiscono il femminismo come un movimento che impone il modello della donna forte, quella donna che ha posizioni di vertice sul posto di lavoro – come una manager o un amministratore delegato – e chiedono un cambiamento completo del suo ruolo nella società.
Il femminismo, infatti, è così strettamente legato al desiderio di sradicare le donne dalla loro posizione di madri e mogli per trasformarle in individui forti e indipendenti, che molte hanno iniziato ad associare il femminismo all’impossibilità per una donna di avere uno stile di vita dedicato alla cura della famiglia e quindi rifiutano di definirsi femministe. È ovvio che, poiché molte donne preferiscono ancora scegliere la maternità rispetto alla carriera, hanno particolari convinzioni religiose o sono semplicemente molto conservatrici, finché il femminismo sarà associato al rifiuto della maternità e del matrimonio a favore della carriera e in generale al modello della “donna forte“, sempre più donne avranno difficoltà a identificarsi con le sue rivendicazioni e preferiranno sostenere posizioni antifemministe, o almeno non si uniranno alla causa femminista.
La terza argomentazione è vicina all’idea che il femminismo non crei uguaglianza, ma piuttosto inviti alla superiorità delle donne, ma è più incentrata sul sentimento di odio verso gli uomini. Molte persone che cercano di affrontare il femminismo non riescono a superare l’idea che si tratti di un movimento fortemente misandrista, che ha come fine ultimo quello di abbattere i muri del dominio maschile. L’immagine della donna arrabbiata che incolpa gli uomini della propria disuguaglianza e della propria posizione socialmente limitata è diventata troppo spesso rappresentativa di ciò che è il femminismo, e ha allontanato dalla causa femminista molte donne così come molti uomini.
Per darne un esempio pratico possiamo prendere il monologo tenuto da Paola Cortellesi quando è stata invitata all’Università “LUISS” di Roma in occasione dell’inizio del nuovo anno accademico, dove ha parlato del sessismo presente nelle fiabe con cui la maggior parte dei bambini è stata cresciuta – “Biancaneve e Cenerentola parlano di ragazze giovani e ingenue che sono straordinariamente belle e che saranno salvate dalla cattiveria di altre donne cattive dal maestoso principe azzurro; e perché le salverà? Perché sono straordinariamente belle” è una delle frasi iniziali del suo discorso. Credo che lo scopo del suo discorso fosse quello di far capire alle persone che siamo stati influenzati e condizionati da idee patriarcali che ci sono state imposte per molto tempo e attraverso molte più fonti di quanto immaginiamo, dirette e indirette, e sono grata che l’abbia fatto perché credo che il primo passo per superare queste ideologie sia esserne consapevoli. Credo che il suo scopo fosse quello di far riflettere e aprire gli occhi sulla profondità della penetrazione del patriarcato nella società italiana per renderli capaci di superarlo e vivere liberi da esso, ma discutendo con le persone che hanno assistito a questo discorso, la maggior parte di loro lo ha definito come il “classico discorso femminista esagerato e contro gli uomini” che erano stanchi di sentire. “Siamo arrivati al punto che anche le favole sono considerate sessiste!“; “Ormai anche all’inaugurazione del nuovo anno accademico bisogna parlare di donne“; “Se continuiamo così, anche uno starnuto sarà preso per sessista” sono solo tre delle frasi che ho sentito. Ancora una volta, il discorso di Paola Cortellesi è solo uno dei milioni di esempi di come le persone fraintendano il femminismo perché ne confondono il significato e, di conseguenza, non colgono il succo della maggior parte dei discorsi che ne sostengono la causa.
Una concezione contemporanea del femminismo:
Credo che la maggior parte delle persone si sia persa nella serie di rivendicazioni sollevate dal femminismo nel corso della sua evoluzione storica e ne abbia costruito una definizione fuorviante basata su un mix di rivendicazioni della prima, seconda e terza ondata, trascurando il fatto che le convinzioni di ciascuna ondata derivano dal contesto storico in cui sono state formate. Troppe persone non riescono a collegare il femminismo alla realtà e alle rivendicazioni di oggi, dove le condizioni delle donne, nella maggior parte dei casi, sono drasticamente migliorate rispetto a quelle del femminismo della prima ondata – e sarebbe un estremismo dire che non è così – ma, comunque, in Italia nel 2023 il 93% delle persone uccise dal proprio partner sono donne; a livello mondiale, una donna su tre dichiara di aver subito almeno una volta nella vita violenza psicologica – ovvero controllo ossessivo, denigrazioni e umiliazioni – sul posto di lavoro o in casa; in Europa, su un campione di ragazze tra i quattordici e i sessant’anni, le donne hanno subito violenza psicologica.
-in Europa, su un campione di ragazze tra i quattordici e i sessant’anni, il 42% di loro dichiara di avere paura di tornare a casa da sola di notte a causa di potenziali stupratori o molestatori; una realtà in cui il patriarcato sta lentamente venendo riconosciuto socialmente, ma in Italia quasi la metà degli uomini intervistati da diverse riviste ha ammesso di aver subito almeno una volta nella vita frasi come “Non piangere, non sei una ragazza“; “Non fare così, è una cosa da ragazze“, “Perché ti vesti così da ragazza, sei gay?” o “Non puoi metterti addosso così tanti colori, verresti preso per gay o, peggio, per una ragazza!“.
Alla luce di ciò, cosa accadrebbe se il femminismo oggi non consistesse nell’essere donne forti che rifiutano la cura della famiglia, né nell’odiare tutti gli uomini sulla terra solo perché sono uomini o nel chiedere la superiorità delle donne sugli uomini, ma piuttosto nell’essere liberi? E se identificassimo il femminismo come la convinzione che ogni donna, proprio come ogni uomo, dovrebbe essere libera?
Forse, con questa concezione, sarebbe più facile convenire che è ancora fondamentale parlare di femminismo, ragionarci sopra, riconoscere le sue rivendicazioni e le ragioni che le sostengono, per arrivare, un giorno, al punto in cui non avremo più bisogno di parlarne e ragionarci perché le sue rivendicazioni saranno raggiunte.
Relativo all’autore:

Elena Ruggieri
“Membro della delegazione italiana del Cercle de Stratégies et d’Influences”.
Elena RUGGIERI è una studentessa del terzo anno dell’Università di Roma Tor Vergata e studia Global Governance (specializzazione in scienze politiche, diritto e storia). Recentemente è entrata a far parte di AIESEC, dove è responsabile dei progetti relativi all’uguaglianza di genere (SDG 5). Attualmente collabora con la Comunità di Sant’Egidio, aiutando nelle attività extrascolastiche che organizza per gli immigrati e i bambini in difficoltà.